- Alessandro Di Pietro
ANIMAL HAZARD
Animal Hazard deve questo nome a un gioco di parole tra il titolo di un saggio di Arthur C. Clarke del 1973 e gli animali che sono stati la suggestione per la costruzione della mostra stessa. Nel suo Hazard of Prophecy – The failure of immagination, Clarke racconta di come gli uomini spesso abbiano stabilito volitivamente assiomi su ciò che è tecnicamente possibile o impossibile e di come poi, in moltissimi casi, siano stati clamorosamente smentiti. Clarke parla di “cedimento del coraggio” e “cedimento della fantasia”. Dopo racconti ed esempi, e la formulazione di due pensieri, oggi chiamati “Leggi di Clarke”, l’autore espone il terzo, il più conosciuto, ovvero “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Proviamo a immaginare un individuo dell’XI secolo di fronte all’elettricità o alla televisione… Ogni tecnologia contiene elementi arcaici, o visioni arcaiche, che hanno generato il desiderio di vederne la realizzazione, che sono state la spinta attraverso la quale si è mossa la curiosità degli individui che hanno condotto nuove scoperte in ambito tecnologico. Grandiose civiltà hanno osservato l’esistente circostante e si sono spinte oltre. Hanno lasciato mastodontiche meraviglie della tecnica e del pensiero e poi sono cadute. Anche quando, come la civiltà vedica, non hanno voluto edificare nulla di materiale, hanno comunque lasciato edifici di parole e gesti (1) raccolti poi in imponenti libri che raccontano di un mondo, di una civiltà – senza date, senza storia – che si costruisce e si completa nei rituali del sacrificio e trova la sua ultima destinazione esistenziale nel fumo prodotto da un fuoco (agni) che si solleva verso il cielo, destinazione ultima cui tutto si riconduce.
Animal Hazard è costruita in due capitoli, distribuiti in due diversi luoghi. Capitolo I – Post Lux è allestito all’interno dell’area archeologica sotterranea di Palazzo Matteucci, sede storica della Cassa di Risparmio di Fermo. Dopo una grande esplosione di luce o un abbaglio folgorante, sono rimaste delle tracce di un avvenimento che riempiono questo luogo che già, in sé, è il residuo e il racconto di una serie di accadimenti e percorsi storici, un insieme di testimonianze diversissime tra loro che raccontano la capacità dell’essere umano di adattarsi alle necessità e ignorare ciò che è stato, utile solo come sostegno fortuito e non articolato nel pensiero attivo.
Qui, depositato su dei tubi innocenti dopo una caduta dall’alto, si trova la prima opera di Alessandro Di Pietro: un grande cilindro composto da elementi di terracotta e gesso che ricorda una pila energetica o una capsula del tempo precipitata nell’area archeologica. La superficie è coperta da una fitta rete di rane, primi animali sui quali vennero fatti degli studi sull’energia elettrica, gli stessi studi che, applicati all’occhio umano, provocavano dei forti lampi di luce. Nella stessa stanza, sopra i resti delle mura esterne del Teatro romano di Fermo, si trova, in un loop continuo, una proiezione laser di Mario Airò Our dynasty came in because of a great sensibility (2005). La frase è l’inizio di uno dei Cantos scritti da Ezra Poud e parla della dinastia Ming. Questi due elementi, il cilindro caduto e la frase scritta con la luce che si ripete senza esaurirsi, segnano il ciclo del rincorrersi del passato e del futuro, della grandezza di certi momenti cui segue una rovinosa ma inevitabile, spesso auspicabile, caduta. Racconto e ciclo di eventi, segnati all’interno di percorsi che sono sempre centrati tra passato arcaico e futuro mitografico, sono presenti nel lavoro di Alessandro Di Pietro che difficilmente si fa tradurre in semplici estetiche, ma piuttosto genera delle “esperienze trasformate in presagi” (2). Nell’ambiente successivo, sono ‘appoggiate’ due piccole sculture di entrambi gli artisti, come se fossero ‘rotolate’ lì da un passato lontano o un futuro prossimo.
Capitolo II – Famiglio. Ogni magia richiede un sacrificio. è invece un percorso pensato da Alessandro Di Pietro specificamente per Palazzo Brancadoro e prevede un intervento narrativo organizzato attraverso due installazioni, alcune piccole sculture e due disegni
a parete. Quattro figure derivanti da un piccolo idolo nigeriano diventano i custodi di
uno scambio magico tra la storia del palazzo e piccoli oggetti di restituzione. Sostenuti dalla presenza di veri gatti all’interno di Palazzo Brancadoro, questi piccoli animaletti ne diventano i simulacri rituali che favoriscono il compimento di un sacrificio furtivo, che si ufficializza nella magniloquenza della restituzione dell’azione compiuta, nella sua organizzazione sotto teca. I moduli di ampie dimensioni e di fattura quasi futuristica (se paragonate alle sale di fine ‘600 in cui sono collocati), che ricordano il monolite di 2001: A Space Odyssey (scritto da Stanley Kubric assieme a Arthur C. Clarke), sono i contenitori depositari e custodi degli oggetti presi in prestito dalla casa per il rituale: sono ricordi spostati e alterati, al posto dei quali un qualche spiritello ha lasciato in cambio nuovi oggetti, preziosi o di scarto, che possono attivare narrazioni altre, che scombinano la linearità del tempo del ricordo.
Per la tradizione medievale il famiglio era un individuo che, mettendosi al servizio di una famiglia, ne entrava a far parte, venendo adottato e dando vita, così a un rapporto di re- ciprocità e cura vicendevole. Famiglio, però, era il nome dato anche a dei demoni minori, spiriti domestici che apparivano, spesso al fianco di streghe, maghi e grandi saggi, come piccoli animali: gatti, ovviamente, ma anche gufi, cornacchie, rospi… sono spiriti che non venivano scelti dai personaggi che andavano ad affiancare, ma che sceglievano da sé a chi unirsi. Così un famiglio poteva all’improvviso comparire nella vita di un mago o di una strega e la sua presenza era protettrice, capace di presentire i pericoli o gli eventi nefasti. Come non riconoscere nel gatto Bruno, che abita le sale di questo palazzo del XVII secolo, un famiglio? Uno spirito autonomo, veggente, aristocratico ma ferino. Le entità che abitano questo luogo sono state riconosciute dall’artista, che sempre lavora lasciando aperti i canali di comunicazione con mondi altri e dimensioni ctonie, e individuati come possibili protagonisti da cui far partire una nuova narrazione. Per chiudere questo percorso di evocazione degli spiriti che aleggiano all’interno di queste mura, Alessandro Di Pietro ha portato due disegni che fanno parte della serie Vampirelli. Si tratta di ritratti visti di tre quarti, mostrando la giugulare, di queste figure mitiche, ma interpretate dall’artista come personaggi diurni, Vampirelli che si sono esposti alla luce diurna e ne hanno subito le conseguenze sulla propria pelle.
1. Composizioni orali tramandate a voce dette Quattro Veda, raccolte poi in diversi libri.Composizioni orali tramandate a voce dette Quattro Veda, raccolte poi in diversi libri.
2. Lettera aperta di Pier Paolo Pasolini a Luchino Visconti, «Tempo», n. 47, XXXI, 22 novembre 1969.
Animal Hazard deve questo nome a un gioco di parole tra il titolo di un saggio di Arthur C. Clarke del 1973 e gli animali che sono stati la suggestione per la costruzione della mostra stessa. Nel suo Hazard of Prophecy – The failure of immagination, Clarke racconta di come gli uomini spesso abbiano stabilito volitivamente assiomi su ciò che è tecnicamente possibile o impossibile e di come poi, in moltissimi casi, siano stati clamorosamente smentiti. Clarke parla di “cedimento del coraggio” e “cedimento della fantasia”. Dopo racconti ed esempi, e la formulazione di due pensieri, oggi chiamati “Leggi di Clarke”, l’autore espone il terzo, il più conosciuto, ovvero “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Proviamo a immaginare un individuo dell’XI secolo di fronte all’elettricità o alla televisione… Ogni tecnologia contiene elementi arcaici, o visioni arcaiche, che hanno generato il desiderio di vederne la realizzazione, che sono state la spinta attraverso la quale si è mossa la curiosità degli individui che hanno condotto nuove scoperte in ambito tecnologico. Grandiose civiltà hanno osservato l’esistente circostante e si sono spinte oltre. Hanno lasciato mastodontiche meraviglie della tecnica e del pensiero e poi sono cadute. Anche quando, come la civiltà vedica, non hanno voluto edificare nulla di materiale, hanno comunque lasciato edifici di parole e gesti (1) raccolti poi in imponenti libri che raccontano di un mondo, di una civiltà – senza date, senza storia – che si costruisce e si completa nei rituali del sacrificio e trova la sua ultima destinazione esistenziale nel fumo prodotto da un fuoco (agni) che si solleva verso il cielo, destinazione ultima cui tutto si riconduce.
Animal Hazard è costruita in due capitoli, distribuiti in due diversi luoghi. Capitolo I – Post Lux è allestito all’interno dell’area archeologica sotterranea di Palazzo Matteucci, sede storica della Cassa di Risparmio di Fermo. Dopo una grande esplosione di luce o un abbaglio folgorante, sono rimaste delle tracce di un avvenimento che riempiono questo luogo che già, in sé, è il residuo e il racconto di una serie di accadimenti e percorsi storici, un insieme di testimonianze diversissime tra loro che raccontano la capacità dell’essere umano di adattarsi alle necessità e ignorare ciò che è stato, utile solo come sostegno fortuito e non articolato nel pensiero attivo.
Qui, depositato su dei tubi innocenti dopo una caduta dall’alto, si trova la prima opera di Alessandro Di Pietro: un grande cilindro composto da elementi di terracotta e gesso che ricorda una pila energetica o una capsula del tempo precipitata nell’area archeologica. La superficie è coperta da una fitta rete di rane, primi animali sui quali vennero fatti degli studi sull’energia elettrica, gli stessi studi che, applicati all’occhio umano, provocavano dei forti lampi di luce. Nella stessa stanza, sopra i resti delle mura esterne del Teatro romano di Fermo, si trova, in un loop continuo, una proiezione laser di Mario Airò Our dynasty came in because of a great sensibility (2005). La frase è l’inizio di uno dei Cantos scritti da Ezra Poud e parla della dinastia Ming. Questi due elementi, il cilindro caduto e la frase scritta con la luce che si ripete senza esaurirsi, segnano il ciclo del rincorrersi del passato e del futuro, della grandezza di certi momenti cui segue una rovinosa ma inevitabile, spesso auspicabile, caduta. Racconto e ciclo di eventi, segnati all’interno di percorsi che sono sempre centrati tra passato arcaico e futuro mitografico, sono presenti nel lavoro di Alessandro Di Pietro che difficilmente si fa tradurre in semplici estetiche, ma piuttosto genera delle “esperienze trasformate in presagi” (2). Nell’ambiente successivo, sono ‘appoggiate’ due piccole sculture di entrambi gli artisti, come se fossero ‘rotolate’ lì da un passato lontano o un futuro prossimo.
Capitolo II – Famiglio. Ogni magia richiede un sacrificio. è invece un percorso pensato da Alessandro Di Pietro specificamente per Palazzo Brancadoro e prevede un intervento narrativo organizzato attraverso due installazioni, alcune piccole sculture e due disegni
a parete. Quattro figure derivanti da un piccolo idolo nigeriano diventano i custodi di
uno scambio magico tra la storia del palazzo e piccoli oggetti di restituzione. Sostenuti dalla presenza di veri gatti all’interno di Palazzo Brancadoro, questi piccoli animaletti ne diventano i simulacri rituali che favoriscono il compimento di un sacrificio furtivo, che si ufficializza nella magniloquenza della restituzione dell’azione compiuta, nella sua organizzazione sotto teca. I moduli di ampie dimensioni e di fattura quasi futuristica (se paragonate alle sale di fine ‘600 in cui sono collocati), che ricordano il monolite di 2001: A Space Odyssey (scritto da Stanley Kubric assieme a Arthur C. Clarke), sono i contenitori depositari e custodi degli oggetti presi in prestito dalla casa per il rituale: sono ricordi spostati e alterati, al posto dei quali un qualche spiritello ha lasciato in cambio nuovi oggetti, preziosi o di scarto, che possono attivare narrazioni altre, che scombinano la linearità del tempo del ricordo.
Per la tradizione medievale il famiglio era un individuo che, mettendosi al servizio di una famiglia, ne entrava a far parte, venendo adottato e dando vita, così a un rapporto di re- ciprocità e cura vicendevole. Famiglio, però, era il nome dato anche a dei demoni minori, spiriti domestici che apparivano, spesso al fianco di streghe, maghi e grandi saggi, come piccoli animali: gatti, ovviamente, ma anche gufi, cornacchie, rospi… sono spiriti che non venivano scelti dai personaggi che andavano ad affiancare, ma che sceglievano da sé a chi unirsi. Così un famiglio poteva all’improvviso comparire nella vita di un mago o di una strega e la sua presenza era protettrice, capace di presentire i pericoli o gli eventi nefasti. Come non riconoscere nel gatto Bruno, che abita le sale di questo palazzo del XVII secolo, un famiglio? Uno spirito autonomo, veggente, aristocratico ma ferino. Le entità che abitano questo luogo sono state riconosciute dall’artista, che sempre lavora lasciando aperti i canali di comunicazione con mondi altri e dimensioni ctonie, e individuati come possibili protagonisti da cui far partire una nuova narrazione. Per chiudere questo percorso di evocazione degli spiriti che aleggiano all’interno di queste mura, Alessandro Di Pietro ha portato due disegni che fanno parte della serie Vampirelli. Si tratta di ritratti visti di tre quarti, mostrando la giugulare, di queste figure mitiche, ma interpretate dall’artista come personaggi diurni, Vampirelli che si sono esposti alla luce diurna e ne hanno subito le conseguenze sulla propria pelle.
1. Composizioni orali tramandate a voce dette Quattro Veda, raccolte poi in diversi libri.Composizioni orali tramandate a voce dette Quattro Veda, raccolte poi in diversi libri.
2. Lettera aperta di Pier Paolo Pasolini a Luchino Visconti, «Tempo», n. 47, XXXI, 22 novembre 1969.
- Installation view Animal Hazard, Capitolo I – Post Lux, Area Archeologica Palazzo Matteucci, Fermo, ph. Alessio Beato
- Installation view Animal Hazard, Capitolo I – Post Lux, Area Archeologica Palazzo Matteucci, Fermo, ph. Alessio Beato
- Installation view Animal Hazard, Capitolo I – Post Lux, Area Archeologica Palazzo Matteucci, Fermo, ph. Alessio Beato
- Alessandro Di Pietro, Shelley – Post Lux, 2022. Ceramica, cemento colorato, 273 x 30 cm. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist)
- Alessandro Di Pietro, Shelley – Post Lux, 2022 (dettaglio). Ceramica, cemento colorato, 273 x 30 cm. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist)
- Mario Airò, Our dynasty came in because of a great sensibility, 2005. Proiezione laser, dimensioni variabili. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist and Vistamare Milano/ Pescara)
- Alessandro Di Pietro, White Paw study, 2022. Cera, 30 x 5 x 4 cm. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist)
- Mario Airò, Windsurfing, 2011. Foglia di magnolia, resina, acciaio, dimensioni ambientali. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist and Vistamare Milano/ Pescara)
- Installation view Animal Hazard, Capitolo II – Famiglio. Ogni magia richiede un sacrificio, Palazzo Brancadoro, Fermo, ph. Alessio Beato
- Alessandro Di Pietro, Ada & Caterina (black, gold) FLX recorder series (detail), 2022. Laminato, plexiglass, xps, PLA, smalto perlato, materiali vari 250 x 134 x 30 cm. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist)
- Alessandro Di Pietro, Ada & Caterina (black, gold) FLX recorder series (detail), 2022. Laminato, plexiglass, xps, PLA, smalto perlato, materiali vari 250 x 134 x 30 cm. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist)
- Alessandro Di Pietro, Ada & Caterina (black, gold) FLX recorder series (detail), 2022. Laminato, plexiglass, xps, PLA, smalto perlato, materiali vari 250 x 134 x 30 cm. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist)
- Alessandro Di Pietro, Untitled (3 di 5, stanza 1), 2022. Bronzo, 20 x 5 cm. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist)
- Installation view Animal Hazard, Capitolo II – Famiglio. Ogni magia richiede un sacrificio, Palazzo Brancadoro, Fermo, ph. Alessio Beato
- Alessandro Di Pietro, Untitled (1 di 3, stanza 3), 2022. Pellicola fotografica, bronzo, resina acrilica, dimensioni varie. Ph. Alessio Beato. (Courtesy the artist)
La ricerca di Alessandro Di Pietro (b. 1987, Messina) trova il suo campo d’azione, in termini materiali e linguistici, all’interno di processi di normalizzazione e deviazione dalla norma. Negli ultimi anni gli apparati visivi che ne conseguono si inseriscono speculativamente in sistemi grammaticali narrativo-ci- nematografici, cercando di tracciare, seguendo diverse direzioni, nuove strategie di pro- duzione narrativa: deformando fonti filmiche preesistenti (NEW VOID, 2013-2014 e A Zed and Two Noughts – Project, 2014-2015) oppure, come nel caso di diversi progetti di natura prettamente installativ, progettando dispositivi dal potenziale narrativo.
Tra le mostre personali: Zulu Time – Concerto fantasma, Parco della zucca – Mu- seo per la memoria di Ustica, Bologna (2022); Hobobolo, Gelateria sogni di Ghiaccio, Bologna (2021); Against Sun and Dust, Villa Imperiale, Pesaro (2020); Quando lo spavento vinse il giorno, MEGA (Milano, 2021) BLIND DATE #4 – Fearsome Features, Sonnenstube, Lugano (2019); FELIX, Marsèlleria Permanent Exhibition, Milano (2018); SHORT STORIES OF FIRES AND CARBON, RAUM, Bologna (2018); Towards Orion: Stories from the Back- seat, LA PLAGE, Parigi (2017); NEW VOID, La Rada, Locarno (2016); TIZIANO E GIORGIONE (doppia personale con Michele Gabriele), a cura di Matteo Mottin, presso Barriera (Torino, 2016) presentato da Treti Galaxie; DESIGNING D presso Una Vetrina (Roma, 2016); NEW VOID – The Movie presso La Rada (Locarno, 2016); DOUBLE CROSS (doppia personale con Jacopo Miliani) presso il CAB – Centre d’Art Bastille (Grenoble, 2015); LA TABLE BASSE a cura di Simone Frangi, presso FPAC – Bad New Business (Milano, 2014).

- LUCIA LEUCI

- IRENE FENARA