• IRENE FENARA

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25.07.2024 – 30.09.2024
Giardinetto della Cassa di Risparmio, Corso Cavour 17, Fermo
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Associazione Karussell e Cassa di Risparmio di Fermo presentano un intervento artistico di Irene Fenara all’interno del Giardinetto della Cassa di Risparmio di Fermo in Corso Cavour. Un luogo al centro di un progetto di valorizzazione, che è stato riattivato grazie all’arte contemporanea.

Irene Fenara ha realizzato un intervento site-specific nel Giardinetto della Cassa di Risparmio di Fermo che evoca la presenza della chiesa di San Matteo – un edificio del XII secolo di cui si perdono le tracce nel XIII secolo – e può essere ricondotto al fenomeno delle ‘chiese nelle chiese’, diffusa su tutto il territorio italiano come la Santa Casa di Loreto, la Porziuncola di Assisi o l’Arca dei Magi a Sant’Eustorgio a Milano.

L’intervento è costituito da una struttura che può essere interpretata come una piccola chiesa o edicola sacra contemporanea. Si tratta di un prefabbricato da cantiere la cui facciata a capanna ricorda quella delle prime chiese cristiane e il cui aspetto ci colloca immediatamente in una dimensione in divenire e di ricostruzione, creando, allo stesso tempo, un effetto straniante e indecifrabile rispetto al luogo. All’interno della struttura, è installato un monitor che riproduce un video estrapolato da telecamere di sorveglianza obsolete, tema centrale nella ricerca dell’artista che indaga lo sguardo meccanico che viene dimenticato e, nell’alterarsi del proprio funzionamento, diventa poetico. Nel video, uno specchio d’acqua muta la sua forma seguendo le spinte che arrivano da una brezza di cui non ci è dato percepire l’intensità, ma che genera, sulla superficie, dei movimenti che sembrano cambiarne la sostanza: da acquosa prende l’aspetto di un tessuto per poi trasformarsi in metallo fuso. Questa immagine in lenta e misteriosa metamorfosi rafforza la sensazione straniante dell’insieme, evocando mutazioni e dimensioni quasi alchemiche per l’intera installazione. Completa l’intervento una fotografia addossata a una delle pareti del Giardinetto. Soggetto di questa è un altro elemento naturale: delle foglie che invadono completamente il campo visivo della camera, non lasciando spazio a una visione connotante di un contesto, ma attivando un dialogo di elementi naturali tra l’immagine riprodotta, il video all’interno della struttura di lamiera e la vegetazione presente nello spazio del giardino.

Nella tradizione, le edicole sacre e le raffigurazioni in esse contenute garantivano favore e sicurezza a chi si allontanava dalla protezione delle mura cittadine o supportavano i pellegrini nei loro cammini. Al pari di quelle contenute nelle edicole sacre, l’immagine presente all’interno della struttura in lamiera evoca un senso di mistero e fascinazione, segnando la via verso possibilità della moltiplicazione di senso delle visioni del reale. Nella sua ricerca, Irene Fenara si serve di immagini prelevate da videocamere di sorveglianza che hanno perso la propria funzione: installate per motivi di controllo e sicurezza, vengono dimenticate e abbandonate, determinandone così mal funzionamento e autonomia visiva. Di questa dimenticanza che genera errore, imperfezione e inutilità, Fenara ha fatto poetica che suggerisce un occhio artistico altro ovvero lo sguardo deteriorato della macchina diventa come quello dell’artista che genera, isolandole dal resto, epifanie. Irene coglie queste epifanie prodotte dallo sguardo imperfetto e deteriorato della macchina del presente tecnologico. Come nella grande proiezione Supervision (Storm) realizzata dall’artista per la recente mostra presso Galleria Zero… di Milano, dove la visione di un temporale in lontananza, vicino a delle montagne, scorre a scatti suggerendo una diversa narrazione del reale a cui il limite tecnologico della macchina – una visione non lineare, non filmica del piano sequenza, e in bassa risoluzione – dona la fascinazione di un album di vedute paesaggistiche, un susseguirsi intervallato di immagini quasi pittoriche prive di connotazione geografica e temporale, ma dense di aperture immaginifiche.

C’è un discorso sul vedere e su come viene restituita la realtà che passa attraverso un mezzo che percepiamo come distaccato e ultra vero ma che, per le sue specificità e limiti e per mezzo dell’interferenza dell’errore, ci restituisce visioni dense di suggestioni poetiche. Non sapremo mai perché la porzione d’acqua riprodotta nel monitor all’interno della struttura necessitava di uno strumento di controllo, ciò che ci è dato intuire sono le potenzialità visive della mutevole materia del reale.

Associazione Karussell e Cassa di Risparmio di Fermo presentano un intervento artistico di Irene Fenara all’interno del Giardinetto della Cassa di Risparmio di Fermo in Corso Cavour. Un luogo al centro di un progetto di valorizzazione, che è stato riattivato grazie all’arte contemporanea.

Irene Fenara ha realizzato un intervento site-specific nel Giardinetto della Cassa di Risparmio di Fermo che evoca la presenza della chiesa di San Matteo – un edificio del XII secolo di cui si perdono le tracce nel XIII secolo – e può essere ricondotto al fenomeno delle ‘chiese nelle chiese’, diffusa su tutto il territorio italiano come la Santa Casa di Loreto, la Porziuncola di Assisi o l’Arca dei Magi a Sant’Eustorgio a Milano.

L’intervento è costituito da una struttura che può essere interpretata come una piccola chiesa o edicola sacra contemporanea. Si tratta di un prefabbricato da cantiere la cui facciata a capanna ricorda quella delle prime chiese cristiane e il cui aspetto ci colloca immediatamente in una dimensione in divenire e di ricostruzione, creando, allo stesso tempo, un effetto straniante e indecifrabile rispetto al luogo. All’interno della struttura, è installato un monitor che riproduce un video estrapolato da telecamere di sorveglianza obsolete, tema centrale nella ricerca dell’artista che indaga lo sguardo meccanico che viene dimenticato e, nell’alterarsi del proprio funzionamento, diventa poetico. Nel video, uno specchio d’acqua muta la sua forma seguendo le spinte che arrivano da una brezza di cui non ci è dato percepire l’intensità, ma che genera, sulla superficie, dei movimenti che sembrano cambiarne la sostanza: da acquosa prende l’aspetto di un tessuto per poi trasformarsi in metallo fuso. Questa immagine in lenta e misteriosa metamorfosi rafforza la sensazione straniante dell’insieme, evocando mutazioni e dimensioni quasi alchemiche per l’intera installazione. Completa l’intervento una fotografia addossata a una delle pareti del Giardinetto. Soggetto di questa è un altro elemento naturale: delle foglie che invadono completamente il campo visivo della camera, non lasciando spazio a una visione connotante di un contesto, ma attivando un dialogo di elementi naturali tra l’immagine riprodotta, il video all’interno della struttura di lamiera e la vegetazione presente nello spazio del giardino.

Nella tradizione, le edicole sacre e le raffigurazioni in esse contenute garantivano favore e sicurezza a chi si allontanava dalla protezione delle mura cittadine o supportavano i pellegrini nei loro cammini. Al pari di quelle contenute nelle edicole sacre, l’immagine presente all’interno della struttura in lamiera evoca un senso di mistero e fascinazione, segnando la via verso possibilità della moltiplicazione di senso delle visioni del reale. Nella sua ricerca, Irene Fenara si serve di immagini prelevate da videocamere di sorveglianza che hanno perso la propria funzione: installate per motivi di controllo e sicurezza, vengono dimenticate e abbandonate, determinandone così mal funzionamento e autonomia visiva. Di questa dimenticanza che genera errore, imperfezione e inutilità, Fenara ha fatto poetica che suggerisce un occhio artistico altro ovvero lo sguardo deteriorato della macchina diventa come quello dell’artista che genera, isolandole dal resto, epifanie. Irene coglie queste epifanie prodotte dallo sguardo imperfetto e deteriorato della macchina del presente tecnologico. Come nella grande proiezione Supervision (Storm) realizzata dall’artista per la recente mostra presso Galleria Zero… di Milano, dove la visione di un temporale in lontananza, vicino a delle montagne, scorre a scatti suggerendo una diversa narrazione del reale a cui il limite tecnologico della macchina – una visione non lineare, non filmica del piano sequenza, e in bassa risoluzione – dona la fascinazione di un album di vedute paesaggistiche, un susseguirsi intervallato di immagini quasi pittoriche prive di connotazione geografica e temporale, ma dense di aperture immaginifiche.

C’è un discorso sul vedere e su come viene restituita la realtà che passa attraverso un mezzo che percepiamo come distaccato e ultra vero ma che, per le sue specificità e limiti e per mezzo dell’interferenza dell’errore, ci restituisce visioni dense di suggestioni poetiche. Non sapremo mai perché la porzione d’acqua riprodotta nel monitor all’interno della struttura necessitava di uno strumento di controllo, ciò che ci è dato intuire sono le potenzialità visive della mutevole materia del reale.

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