• Paola Angelini, 
  • Luca De Angelis, 
  • Alessandro Fogo, 
  • Mattia Pajè, 
  • Alice Visentin, 
  • Francesco Snote

IL SOGNO SGUSCIA FUORI DALLA TANA VERSO LA PREDA

05.12.2021 – 31.12.2021
Palazzo Catalino, Via della Sapienza 20, Fermo
Text

Ho immaginato di chiedere agli artisti coinvolti dei lavori piccoli – o di formato comunque ridotto rispetto a quello da loro usato normalmente – da poter mettere in uno spazio altrettanto piccolo, privato, quasi segreto. L’idea che mi aveva solleticata era quella di costruire uno spazio/mostra ristretto, ravvicinato, dove le opere potessero sostituire la presenza delle persone, lasciando prender vita a un fitto chiacchiericcio tra amici, un confabulare, un narrare ritmato, bisbigliante… Lo spettatore, entrando, avrebbe dovuto avvertire la sensazione di accedere, non visto, a un luogo segreto dove si sperimentano attività magiche, misteriche. Di sicuro, la fortuna di aver trovato uno spazio come Palazzo Rota – Brancadoro Costantini – Catalino ha reso più semplice la realizzazione di questa fantasia e i lavori che gli artisti hanno scelto di portare l’hanno completata. Il partire da una matrice del reale, dell’ordinario, accomuna le loro ricerche, ognuno poi ne fa una traduzione che apre il campo delle possibilità di visione, di lettura e manipolazione delle cose. Questa caratteristica mi ha fatto pensare a loro come a “maghi moderni” – come diceva Alberto Savinio del fratello Giorgio de Chirico – capaci di rimestare il reale al fine di ottenere delle trasformazioni quasi alchemiche. Le alterazioni di immagine che compiono sembrano situazioni o scenari che potrebbero trovare spazio nei romanzi di George Saunders o Margaret Atwood, narrazioni che sembrano esistere parallelamente al reale conosciuto, con tutta la carica di probabilità di essere vere che deriva dal loro essere costruite per mezzo di oggettivazione delle possibili soluzioni che il nostro presente, la nostra civiltà, la nostra quotidianità potrebbero intraprendere.  Ma non è la visionarietà a essere interessante nelle opere in mostra. Ciò che fa compiere lo scarto è la capacità di mutare lo stato delle cose attraverso il gesto pittorico (e non solo) e il processo artistico. Proprio in un romanzo della Atwood, Oryx e Crake, ho trovato la frase che fa da titolo a questa mostra: si tratta di una delle calamite attaccate sul frigorifero del co-protagonista, Crake.

“Dove c’è Dio, non c’è l’Uomo.
Ci sono due lune, quella visibile e quella invisibile.
Du musst dein Leben andern.
Comprendiamo più di quanto sappiamo.
Cogito, ergo.
Rimanere umani è superare un limite.
Il sogno sguscia fuori dalla tana verso la preda.”

Quest’ultima mi è sembrata l’immagine esatta per raccontare, in un titolo, tutto questo.
I “messaggi sulla cultura della terra, la storia orale e alcuni semplici attimi di vita quotidiana” portati dai grandi elementi vegetali di Alice Visentin inebriano del fascino e degli odori della natura. Fiori, petali e foglie, che possono curare o avvelenare, ci rammentano dei filtri e delle pomate che un tempo si creavano con essi e rimandano a un mondo, a un esistere lento e fatto di parole, fatto di formule e ricette. Per Luca De Angelis l’immagine del reale si trasfigura svelando la natura equivoca delle cose attraverso la lentezza e precisione del processo pittorico che l’artista compie in studio: dietro una pennellata la successiva, millimetrica, sotto la quale si nasconde una nuova forma dell’immagine. Nei lavori di Alessandro Fogo l’ambiguità del conosciuto si manifesta attraverso una sottile trasfigurazione del reale, la stratificazione delle immagini e
la costruzione di livelli di lettura. Dubbi, possibilità e ambiguità sono richiamati in superficie sollecitando lo spettatore a seguire un rituale di iniziazione alla trasformazione del conosciuto e ovvio in qualcosa di cui interrogarsi. Per Paola Angelini l’atto di evocare avviene attraverso la stratificazione dei segni e della materia sulla tela: non sono le immagini, o non sono solo loro, a essere determinanti nella gestione della ricerca in atto. La matericità è trattata come strumento disvelante che attiva e conclude un processo. Francesco Snote crea immagini di situazione in falsa evoluzione e storie che rotolano una nell’altra, come il sogno al risveglio o il sogno del risveglio che diventa un groviglio di percepito e finzione. Le sculture contengono i sogni che le tavole raccontano, fingendo di essere vecchi reliquiari e lunghe pareti affrescate. Gli interventi di Mattia Pajè sono osservazioni approfondite delle cose del reale rese attraverso un punto di vista più concettuale, che ne restituisce le forme articolate attraverso mezzi che agiscono puntigliosamente sull’ambiguità dell’immagine, sia essa visiva, sonora o linguistica.

Matilde Galletti

Ho immaginato di chiedere agli artisti coinvolti dei lavori piccoli – o di formato comunque ridotto rispetto a quello da loro usato normalmente – da poter mettere in uno spazio altrettanto piccolo, privato, quasi segreto. L’idea che mi aveva solleticata era quella di costruire uno spazio/mostra ristretto, ravvicinato, dove le opere potessero sostituire la presenza delle persone, lasciando prender vita a un fitto chiacchiericcio tra amici, un confabulare, un narrare ritmato, bisbigliante… Lo spettatore, entrando, avrebbe dovuto avvertire la sensazione di accedere, non visto, a un luogo segreto dove si sperimentano attività magiche, misteriche. Di sicuro, la fortuna di aver trovato uno spazio come Palazzo Rota – Brancadoro Costantini – Catalino ha reso più semplice la realizzazione di questa fantasia e i lavori che gli artisti hanno scelto di portare l’hanno completata. Il partire da una matrice del reale, dell’ordinario, accomuna le loro ricerche, ognuno poi ne fa una traduzione che apre il campo delle possibilità di visione, di lettura e manipolazione delle cose. Questa caratteristica mi ha fatto pensare a loro come a “maghi moderni” – come diceva Alberto Savinio del fratello Giorgio de Chirico – capaci di rimestare il reale al fine di ottenere delle trasformazioni quasi alchemiche. Le alterazioni di immagine che compiono sembrano situazioni o scenari che potrebbero trovare spazio nei romanzi di George Saunders o Margaret Atwood, narrazioni che sembrano esistere parallelamente al reale conosciuto, con tutta la carica di probabilità di essere vere che deriva dal loro essere costruite per mezzo di oggettivazione delle possibili soluzioni che il nostro presente, la nostra civiltà, la nostra quotidianità potrebbero intraprendere.  Ma non è la visionarietà a essere interessante nelle opere in mostra. Ciò che fa compiere lo scarto è la capacità di mutare lo stato delle cose attraverso il gesto pittorico (e non solo) e il processo artistico. Proprio in un romanzo della Atwood, Oryx e Crake, ho trovato la frase che fa da titolo a questa mostra: si tratta di una delle calamite attaccate sul frigorifero del co-protagonista, Crake.

“Dove c’è Dio, non c’è l’Uomo.
Ci sono due lune, quella visibile e quella invisibile.
Du musst dein Leben andern.
Comprendiamo più di quanto sappiamo.
Cogito, ergo.
Rimanere umani è superare un limite.
Il sogno sguscia fuori dalla tana verso la preda.”

Quest’ultima mi è sembrata l’immagine esatta per raccontare, in un titolo, tutto questo.
I “messaggi sulla cultura della terra, la storia orale e alcuni semplici attimi di vita quotidiana” portati dai grandi elementi vegetali di Alice Visentin inebriano del fascino e degli odori della natura. Fiori, petali e foglie, che possono curare o avvelenare, ci rammentano dei filtri e delle pomate che un tempo si creavano con essi e rimandano a un mondo, a un esistere lento e fatto di parole, fatto di formule e ricette. Per Luca De Angelis l’immagine del reale si trasfigura svelando la natura equivoca delle cose attraverso la lentezza e precisione del processo pittorico che l’artista compie in studio: dietro una pennellata la successiva, millimetrica, sotto la quale si nasconde una nuova forma dell’immagine. Nei lavori di Alessandro Fogo l’ambiguità del conosciuto si manifesta attraverso una sottile trasfigurazione del reale, la stratificazione delle immagini e
la costruzione di livelli di lettura. Dubbi, possibilità e ambiguità sono richiamati in superficie sollecitando lo spettatore a seguire un rituale di iniziazione alla trasformazione del conosciuto e ovvio in qualcosa di cui interrogarsi. Per Paola Angelini l’atto di evocare avviene attraverso la stratificazione dei segni e della materia sulla tela: non sono le immagini, o non sono solo loro, a essere determinanti nella gestione della ricerca in atto. La matericità è trattata come strumento disvelante che attiva e conclude un processo. Francesco Snote crea immagini di situazione in falsa evoluzione e storie che rotolano una nell’altra, come il sogno al risveglio o il sogno del risveglio che diventa un groviglio di percepito e finzione. Le sculture contengono i sogni che le tavole raccontano, fingendo di essere vecchi reliquiari e lunghe pareti affrescate. Gli interventi di Mattia Pajè sono osservazioni approfondite delle cose del reale rese attraverso un punto di vista più concettuale, che ne restituisce le forme articolate attraverso mezzi che agiscono puntigliosamente sull’ambiguità dell’immagine, sia essa visiva, sonora o linguistica.

Matilde Galletti

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