• ANDREA ROMANO

LEGATO

16.05.2021 – 20.06.2021
Palazzo Falconi, Largo Armando Falconi 3, Fermo
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Cosa sono le immagini? Cosa significano? Come vengono guardate e come sono lette? Qual è  la stratificazione che le costituisce? E il rapporto tra parola e immagine? Come si definisce? Quale azione di pensiero o gesto separa il vocabolo dalla parola?  Fra significante e significato titolava una mostra fatta a Pavia nel 1975, presentando le ricerche di alcuni artisti che in quegli anni ma, soprattutto, in quelli precedenti, avevano provato a condurre riflessioni che dalla filosofia, alla linguistica, alla semiotica approdavano alle arti visive, esplorando le dimensioni della comunicazione verbale, di quella segnica e di quella per immagini. Tali ricerche non hanno portato, nella maggior parte, a conclusioni effettivamente risolutive, ma di certo ancora oggi lasciano spazio di riflessione e invitano alla loro riscoperta: basti pensare allo spazio che gli è stato dedicato in occasione della grande mostra Ennesima curata da Vincenzo de Bellis negli spazi della Triennale, a Milano, nel 2015. La stessa mostra nella quale erano presenti anche i segni di neon di Andrea Romano ovvero Postsherds and Gazes che sono tracce segniche di relazioni.

Il titolo della mostra Legato è un termine mutuato dal linguaggio musicale. Esso indica delle note che devono essere suonate una di seguito all’altra senza pause, mantenedo il dito sulla nota precedente, in un continuum di riverberi, con la risonanza di una nota che resta nell’altra. E cos’è l’arte se non proprio questo continuum di riverberi tra un autore e un altro, tra un’epoca e un’altra o, all’interno di una stessa ricerca, tra un’opera appena realizzata e le precedenti? Questa operazione richiede una certa attenzione poiché non è per nulla semplice, il rischio di cadere nella maniera, nella ripetizione formalista è alto. Dita che picchiano i tasti, polsi che danno equilibrio alla differenza tra la parte iniziale e quella finale del gruppo legato, sottigliezza di esecuzione. Nel progetto che Andrea Romano ha realizzato per Palazzo Falconi il titolo si riferisce a connessioni, nelle opere in mostra, di momenti diversi tra loro, di stratificazioni di linguaggi, di riferimenti tanto a esperienze personali dell’artista, alla sua cultura e ai suoi luoghi ma anche alla sua ricerca artistica, quanto a elementi presi dalla storia dell’arte o dalla cultura visiva in generale.

La ricerca dell’artista, la stratificazione di questa nel mentre procede al successivo cambiamento, il passaggio da un momento a un altro, l’ineffabilità del pensiero critico e della lettura delle immagini è ciò che è narrato dalle fotografie presenti in mostra, sulle quali l’artista è intevenuto con un segno fatto a mano impiegando grafite o sanguigna. Le parole disegnate si sovrappongono a riproduzioni fotografiche di lavori passati, come se questi lemmi fossero degli aloni in transito sopra alle immagini, come se il pensiero che soggiaceva a quei lavori si fosse materializzato e stesse transitando sopra di essi. In bilico tra suggestione e possibilità di definire delle equivocità linguistiche, visive e fonetiche, questi lavori possono essere dei tentativi di definire l’ambiguità del rapporto tra parole e immagini, tra ciò che si pronuncia e ciò che si vede e tra queste cose e ciò che si pensa, che si può pensare o immaginare. Tra realtà e apparenza, tra verità e letture indotte. Parole che introducono suggerimenti, che lasciano sulla soglia del significato.  In una sorta di indagine sulle immagini che vengono interrogate per parlare di se stesse, per confermare la propria autenticità o rafforzarne l’ambiguità.

Proprio a questo discorso si rivolge l’opera Simple Prepositions, Claque & Shill che, inserendosi tra una Testa di Sant’Andrea di Ludovico Carracci e Testa di San Paolo, costituisce un cuneo di riflessione sulla tematica del ritratto, inteso da Andrea Romano come indagine sul ruolo e la presenza delle immagini nella nostra vita e il rapporto che abbiamo con esse, esaltato dall’ambiguità di un volto femminile il cui sguardo è in bilico tra seduzione e apatia. Dunque una possibilità di riflessione sull’immagine intesa come estensione estetica dell’Io. Sulla parete a sinistra dell’entrata si trova invece Simple Prepositions, Cast of Pillow (1), una fotografia che riproduce un lavoro performativo che fa da supporto alla parola “Ineffable”.

Occhi d’argento, un disegno in punta d’argento, traduce la formula degli schizzi d’artista sui moti dell’animo in una interrogazione sul disegno e sulla visione. Osservare, sentirsi osservati e fare osservazioni, con un piglio tagliente dato dalla disposizione sulla carta preparata degli organi della vista. Così come ancora allo sguardo, inteso in senso di organo sensoriale da sollecitare, è rivolto il lavoro Drawer Bottoms, Empathy Blue on Beige, un collage in carta Varese (il cui pattern è messo in stretto dialogo con il motivo decorativo del tessuto delle pareti), che utilizza elementi legati a una dimensione intima e domestica per rimandare alla tradizione dell’Optical Art  nel forzare un’interazione con lo spettatore a livello retinico.

Nella stanza successiva, sulla parete di fronte all’entrata, si trova Simple Prepositions, Widows and Orphans (1), un dittico in cui, ancora una volta, alla riproduzione fotografica di una performance di alcuni anni fa, si sovrappone la scritta Captivity.

Alla fine del percorso, nello studio della casa, un lavoro che ammorbidisce in qualche maniera il rigore concettuale delle opere precedenti: Who Will Bring Them Flowers When The Flowers Die? è una piccola scultura bifronte che si riferisce a degli scorci di paesaggio urbano in cui vive l’artista, dove si vedono dei fiori lasciati ai bordi delle strade per commemorare la perdita di qualcuno di amato. In questo senso la scultura è intesa dall’artista come un paesaggio mentale e sentimentale, per questo ha deciso di metterla in relazione al paesaggio collinare immenso che si vede affacciandosi alla finestra lì accanto. La conclusione della mostra è data da questo elemento che è stato collocato da Romano sulla scrivania nello studio che il conte Falconi, colui che ha raccolto l’immensa collezione di quadri che solo in parte è esposta in questo palazzo, frequentava ogni giorno, il suo luogo più raccolto. Qui si sofferma lo sguardo dell’artista per cogliere un parallelismo tra la visionarietà del conte Falconi e la solitudine del pensiero artistico durante un processo, calato nella sua dimensione intima e vulnerabile.

Matilde Galletti

Cosa sono le immagini? Cosa significano? Come vengono guardate e come sono lette? Qual è  la stratificazione che le costituisce? E il rapporto tra parola e immagine? Come si definisce? Quale azione di pensiero o gesto separa il vocabolo dalla parola?  Fra significante e significato titolava una mostra fatta a Pavia nel 1975, presentando le ricerche di alcuni artisti che in quegli anni ma, soprattutto, in quelli precedenti, avevano provato a condurre riflessioni che dalla filosofia, alla linguistica, alla semiotica approdavano alle arti visive, esplorando le dimensioni della comunicazione verbale, di quella segnica e di quella per immagini. Tali ricerche non hanno portato, nella maggior parte, a conclusioni effettivamente risolutive, ma di certo ancora oggi lasciano spazio di riflessione e invitano alla loro riscoperta: basti pensare allo spazio che gli è stato dedicato in occasione della grande mostra Ennesima curata da Vincenzo de Bellis negli spazi della Triennale, a Milano, nel 2015. La stessa mostra nella quale erano presenti anche i segni di neon di Andrea Romano ovvero Postsherds and Gazes che sono tracce segniche di relazioni.

Il titolo della mostra Legato è un termine mutuato dal linguaggio musicale. Esso indica delle note che devono essere suonate una di seguito all’altra senza pause, mantenedo il dito sulla nota precedente, in un continuum di riverberi, con la risonanza di una nota che resta nell’altra. E cos’è l’arte se non proprio questo continuum di riverberi tra un autore e un altro, tra un’epoca e un’altra o, all’interno di una stessa ricerca, tra un’opera appena realizzata e le precedenti? Questa operazione richiede una certa attenzione poiché non è per nulla semplice, il rischio di cadere nella maniera, nella ripetizione formalista è alto. Dita che picchiano i tasti, polsi che danno equilibrio alla differenza tra la parte iniziale e quella finale del gruppo legato, sottigliezza di esecuzione. Nel progetto che Andrea Romano ha realizzato per Palazzo Falconi il titolo si riferisce a connessioni, nelle opere in mostra, di momenti diversi tra loro, di stratificazioni di linguaggi, di riferimenti tanto a esperienze personali dell’artista, alla sua cultura e ai suoi luoghi ma anche alla sua ricerca artistica, quanto a elementi presi dalla storia dell’arte o dalla cultura visiva in generale.

La ricerca dell’artista, la stratificazione di questa nel mentre procede al successivo cambiamento, il passaggio da un momento a un altro, l’ineffabilità del pensiero critico e della lettura delle immagini è ciò che è narrato dalle fotografie presenti in mostra, sulle quali l’artista è intevenuto con un segno fatto a mano impiegando grafite o sanguigna. Le parole disegnate si sovrappongono a riproduzioni fotografiche di lavori passati, come se questi lemmi fossero degli aloni in transito sopra alle immagini, come se il pensiero che soggiaceva a quei lavori si fosse materializzato e stesse transitando sopra di essi. In bilico tra suggestione e possibilità di definire delle equivocità linguistiche, visive e fonetiche, questi lavori possono essere dei tentativi di definire l’ambiguità del rapporto tra parole e immagini, tra ciò che si pronuncia e ciò che si vede e tra queste cose e ciò che si pensa, che si può pensare o immaginare. Tra realtà e apparenza, tra verità e letture indotte. Parole che introducono suggerimenti, che lasciano sulla soglia del significato.  In una sorta di indagine sulle immagini che vengono interrogate per parlare di se stesse, per confermare la propria autenticità o rafforzarne l’ambiguità.

Proprio a questo discorso si rivolge l’opera Simple Prepositions, Claque & Shill che, inserendosi tra una Testa di Sant’Andrea di Ludovico Carracci e Testa di San Paolo, costituisce un cuneo di riflessione sulla tematica del ritratto, inteso da Andrea Romano come indagine sul ruolo e la presenza delle immagini nella nostra vita e il rapporto che abbiamo con esse, esaltato dall’ambiguità di un volto femminile il cui sguardo è in bilico tra seduzione e apatia. Dunque una possibilità di riflessione sull’immagine intesa come estensione estetica dell’Io. Sulla parete a sinistra dell’entrata si trova invece Simple Prepositions, Cast of Pillow (1), una fotografia che riproduce un lavoro performativo che fa da supporto alla parola “Ineffable”.

Occhi d’argento, un disegno in punta d’argento, traduce la formula degli schizzi d’artista sui moti dell’animo in una interrogazione sul disegno e sulla visione. Osservare, sentirsi osservati e fare osservazioni, con un piglio tagliente dato dalla disposizione sulla carta preparata degli organi della vista. Così come ancora allo sguardo, inteso in senso di organo sensoriale da sollecitare, è rivolto il lavoro Drawer Bottoms, Empathy Blue on Beige, un collage in carta Varese (il cui pattern è messo in stretto dialogo con il motivo decorativo del tessuto delle pareti), che utilizza elementi legati a una dimensione intima e domestica per rimandare alla tradizione dell’Optical Art  nel forzare un’interazione con lo spettatore a livello retinico.

Nella stanza successiva, sulla parete di fronte all’entrata, si trova Simple Prepositions, Widows and Orphans (1), un dittico in cui, ancora una volta, alla riproduzione fotografica di una performance di alcuni anni fa, si sovrappone la scritta Captivity.

Alla fine del percorso, nello studio della casa, un lavoro che ammorbidisce in qualche maniera il rigore concettuale delle opere precedenti: Who Will Bring Them Flowers When The Flowers Die? è una piccola scultura bifronte che si riferisce a degli scorci di paesaggio urbano in cui vive l’artista, dove si vedono dei fiori lasciati ai bordi delle strade per commemorare la perdita di qualcuno di amato. In questo senso la scultura è intesa dall’artista come un paesaggio mentale e sentimentale, per questo ha deciso di metterla in relazione al paesaggio collinare immenso che si vede affacciandosi alla finestra lì accanto. La conclusione della mostra è data da questo elemento che è stato collocato da Romano sulla scrivania nello studio che il conte Falconi, colui che ha raccolto l’immensa collezione di quadri che solo in parte è esposta in questo palazzo, frequentava ogni giorno, il suo luogo più raccolto. Qui si sofferma lo sguardo dell’artista per cogliere un parallelismo tra la visionarietà del conte Falconi e la solitudine del pensiero artistico durante un processo, calato nella sua dimensione intima e vulnerabile.

Matilde Galletti

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