- MARCO ANDREA MAGNI
MEDICAMENTA
“Non c’è un termine dal quale si parte, né uno a cui si arriva o si deve arrivare. Medicamenta è una piccola mostra o una piccola confidenza senza diretto interlocutore. Tre lettere magnetizzate diventano appunti sul divenire, lo tracciano e lo orientano. Sono direzioni che operano in silenzio. In questo caso non sono le parole che contano, le frasi, i ritmi o le figure. Non possono esistere parole esatte per esprimere questi tipi di divenire. Queste lettere chiamate Declinazione rosa sono delle vere e proprie intensità di luce, calore e colore. A questo concatenamento di enunciazione si sommano altre vie di fuga: lo sguardo è sorpreso da due compassi aerei che pendono dal soffitto. Sembrano delle metafore oscene, pesano a tal punto da flettere le aste dei due compassi verso lo spettatore che ne diventa complice. Compasso per aureola è un controsenso perché perde la misura e, in un certo modo, la umanizza. Queste opere sembrano moltiplicare l’uso di questi oggetti, sculture, carte per tornare a inventare nuovi sguardi verso se stessi, la propria natura, la propria forza e affinare nuove armi. Armi sottili e silenziose come uno sguardo che ascolta, un’attenzione colta e consapevole di un divenire comune”.
Medicamenta traduce il termine ‘cura’ in ‘presenza’, ‘reciprocità’, ‘prossimità’ e ‘attenzione’. Le opere in mostra sono dei tentativi di mettere in parola delle figure di vulnerabilità: un audio con un picchiettare ritmico delle dita sui tasti del pianoforte, che traduce il cinguettio di un Regolo, due compassi aerei che, attraverso il loro costruirsi sculture nello spazio, rimescolano quest’ultimo, l’aria e le relazioni reciproche tra tutte le opere presenti e tra queste e lo spettatore – le relazioni che non sono mai un’ovvietà ma accettazione del tempo che passa e scorre –, delle lettere che sono leggermente arrossite per pudicizia dopo che sono state esposte nude, senza segno alcuno di scrittura, al sole dell’orto botanico di Brera, a Milano, e il cui perimetro è stato poi ricoperto di vernice magnetica. Per mezzo di questi oggetti delicati eppure puntuali, che, disposti nello spazio, si chiamano vicendevolmente e richiamano lo spettatore, si è voluto mettere in atto un tentativo di aprire un dialogo tra l’ambiente storico che ospita la mostra, la famiglia che lo abita quotidianamente e chi vi transiterà occasionalmente. Entrando nel salone di ricevimento che ospiterà i lavori per un mese, si dovrà avere l’impressione di introdursi in uno spazio che ricorda un chiostro, permeato di rigore e disciplina dalla disposizione delle regole presenti al suo interno e che ordinano anche l’esterno, ma, allo stesso tempo, avvinto dai lievi canti che provengono da dentro le mura. Le opere in mostra sono sei ma di queste tre sono una sorta di ripetizione poiché di Compasso per aureola sono presenti due esemplari (realizzati appositamente per lo spazio di Palazzo Bernetti Evangelista in una dimensione più grande delle precedenti), mentre del lavoro Declinazione rosa ve ne sono tre.
Questo fatto del ripetersi, o, piuttosto, del ribadirsi di alcune opere e quindi di concetti e immagini, rende più forte il suggerimento di trovarsi in un ambiente dove si sta svolgendo una sorta di rituale, un processo che, attraverso questo continuo replicarsi di gesti e parole, attende a un risultato finale. Un risultato che però sembra arrivare subito e non arrivare affatto, perché, come nelle più scaltre dinamiche di seduzione amorosa (dei sensi) è d’obbligo non concedere tutto nell’immediato e, al contempo, concedersi totalmente e follemente subito. E per questo la parola ascolto è importante: questa azione, sottolineata dalla presenza in mostra di un’installazione sonora, A cielo aperto, diviene centrale perché ricercata non solo attraverso i suggerimenti delle opere presenti (‘ascoltare’ ciò che un’opera d’arte ha da dire), ma attraverso la stimolazione dell’apparato uditivo che diviene senso sollecitato direttamente. Ravvivando l’impressione di trovarsi in un luogo della relazione attraverso un suono che è quasi un gioco: il battere delle dita sui tasti del pianoforte come le dita di qualcuno che aspetta, che battono su una superficie assecondando il ritmo dell’attesa. Restiamo in attesa del momento che avviene e degli accadimenti che possono sorprenderci nel momento dell’incontro. Questo incontro avviene anche come scambio di energia fisica tra i corpi presenti nella stanza della mostra: quella presente in noi esseri umani, quella della vernice magnetica delle lettere in Declinazione rosa o quella generata dalla rotazione dei compassi. In questo abitare comune di opere e spettatore avviene una sorta di rigenerazione delle coscienze che incontrano questi lavori. Essi agiscono, attraverso il loro dialogo quasi rituale, come un balsamo che lenisce i sensi e li invita a rinnovarsi nel pensiero. È molto bella l’immagine, utilizzata in un testo scritto per una mostra dell’artista a Siena, dei lavori di Marco Andrea Magni che corteggiano lo spettatore: sono come carezze e pungoli rivolti al pubblico che è un interlocutore che l’artista, nella sua pratica, cerca di coinvolgere non assecondando modalità relazionali ma andandone a sollecitare strutture emotive.
“I manufatti si presentano e si nascondono sul perimetro della visione come a voler toccare la soglia dell’azione o della sparizione”. Le aste che girano agiscono da aghi di bussola smagnetizzata in cerca di poli disposti nello spazio. Queste aste sono anche delle punte che creano disegni aerei, invisibili ma che danno vita a forme nello spazio. La pulizia della forma e del movimento è incantatoria. Come un esercizio per assicurarsi un equilibrio che però non si trova poiché si è inquieti per nostra stessa natura. Le lettere che celano al linguaggio la loro narrazione: sono fragranti per la materia di cui sono fatte, per il segno che le ha scritte. I bordi magnetizzati, che per un verso le tengono insieme e per l’altro invece attraggono in qualche modo gli aghi di bussola che sono le aste di ottone delle due sculture a soffitto, disegnano un profilo intrigante anch’esso per la sua materialità che è energia in azione, dunque che produce non un’immagine statica ma una altrettanto in moto come quella delle aste. Entrare, ascoltare, abitare e abituarsi per generare architetture del vivere poeticamente gli spazi della reciprocità.
“Non c’è un termine dal quale si parte, né uno a cui si arriva o si deve arrivare. Medicamenta è una piccola mostra o una piccola confidenza senza diretto interlocutore. Tre lettere magnetizzate diventano appunti sul divenire, lo tracciano e lo orientano. Sono direzioni che operano in silenzio. In questo caso non sono le parole che contano, le frasi, i ritmi o le figure. Non possono esistere parole esatte per esprimere questi tipi di divenire. Queste lettere chiamate Declinazione rosa sono delle vere e proprie intensità di luce, calore e colore. A questo concatenamento di enunciazione si sommano altre vie di fuga: lo sguardo è sorpreso da due compassi aerei che pendono dal soffitto. Sembrano delle metafore oscene, pesano a tal punto da flettere le aste dei due compassi verso lo spettatore che ne diventa complice. Compasso per aureola è un controsenso perché perde la misura e, in un certo modo, la umanizza. Queste opere sembrano moltiplicare l’uso di questi oggetti, sculture, carte per tornare a inventare nuovi sguardi verso se stessi, la propria natura, la propria forza e affinare nuove armi. Armi sottili e silenziose come uno sguardo che ascolta, un’attenzione colta e consapevole di un divenire comune”.
Medicamenta traduce il termine ‘cura’ in ‘presenza’, ‘reciprocità’, ‘prossimità’ e ‘attenzione’. Le opere in mostra sono dei tentativi di mettere in parola delle figure di vulnerabilità: un audio con un picchiettare ritmico delle dita sui tasti del pianoforte, che traduce il cinguettio di un Regolo, due compassi aerei che, attraverso il loro costruirsi sculture nello spazio, rimescolano quest’ultimo, l’aria e le relazioni reciproche tra tutte le opere presenti e tra queste e lo spettatore – le relazioni che non sono mai un’ovvietà ma accettazione del tempo che passa e scorre –, delle lettere che sono leggermente arrossite per pudicizia dopo che sono state esposte nude, senza segno alcuno di scrittura, al sole dell’orto botanico di Brera, a Milano, e il cui perimetro è stato poi ricoperto di vernice magnetica. Per mezzo di questi oggetti delicati eppure puntuali, che, disposti nello spazio, si chiamano vicendevolmente e richiamano lo spettatore, si è voluto mettere in atto un tentativo di aprire un dialogo tra l’ambiente storico che ospita la mostra, la famiglia che lo abita quotidianamente e chi vi transiterà occasionalmente. Entrando nel salone di ricevimento che ospiterà i lavori per un mese, si dovrà avere l’impressione di introdursi in uno spazio che ricorda un chiostro, permeato di rigore e disciplina dalla disposizione delle regole presenti al suo interno e che ordinano anche l’esterno, ma, allo stesso tempo, avvinto dai lievi canti che provengono da dentro le mura. Le opere in mostra sono sei ma di queste tre sono una sorta di ripetizione poiché di Compasso per aureola sono presenti due esemplari (realizzati appositamente per lo spazio di Palazzo Bernetti Evangelista in una dimensione più grande delle precedenti), mentre del lavoro Declinazione rosa ve ne sono tre.
Questo fatto del ripetersi, o, piuttosto, del ribadirsi di alcune opere e quindi di concetti e immagini, rende più forte il suggerimento di trovarsi in un ambiente dove si sta svolgendo una sorta di rituale, un processo che, attraverso questo continuo replicarsi di gesti e parole, attende a un risultato finale. Un risultato che però sembra arrivare subito e non arrivare affatto, perché, come nelle più scaltre dinamiche di seduzione amorosa (dei sensi) è d’obbligo non concedere tutto nell’immediato e, al contempo, concedersi totalmente e follemente subito. E per questo la parola ascolto è importante: questa azione, sottolineata dalla presenza in mostra di un’installazione sonora, A cielo aperto, diviene centrale perché ricercata non solo attraverso i suggerimenti delle opere presenti (‘ascoltare’ ciò che un’opera d’arte ha da dire), ma attraverso la stimolazione dell’apparato uditivo che diviene senso sollecitato direttamente. Ravvivando l’impressione di trovarsi in un luogo della relazione attraverso un suono che è quasi un gioco: il battere delle dita sui tasti del pianoforte come le dita di qualcuno che aspetta, che battono su una superficie assecondando il ritmo dell’attesa. Restiamo in attesa del momento che avviene e degli accadimenti che possono sorprenderci nel momento dell’incontro. Questo incontro avviene anche come scambio di energia fisica tra i corpi presenti nella stanza della mostra: quella presente in noi esseri umani, quella della vernice magnetica delle lettere in Declinazione rosa o quella generata dalla rotazione dei compassi. In questo abitare comune di opere e spettatore avviene una sorta di rigenerazione delle coscienze che incontrano questi lavori. Essi agiscono, attraverso il loro dialogo quasi rituale, come un balsamo che lenisce i sensi e li invita a rinnovarsi nel pensiero. È molto bella l’immagine, utilizzata in un testo scritto per una mostra dell’artista a Siena, dei lavori di Marco Andrea Magni che corteggiano lo spettatore: sono come carezze e pungoli rivolti al pubblico che è un interlocutore che l’artista, nella sua pratica, cerca di coinvolgere non assecondando modalità relazionali ma andandone a sollecitare strutture emotive.
“I manufatti si presentano e si nascondono sul perimetro della visione come a voler toccare la soglia dell’azione o della sparizione”. Le aste che girano agiscono da aghi di bussola smagnetizzata in cerca di poli disposti nello spazio. Queste aste sono anche delle punte che creano disegni aerei, invisibili ma che danno vita a forme nello spazio. La pulizia della forma e del movimento è incantatoria. Come un esercizio per assicurarsi un equilibrio che però non si trova poiché si è inquieti per nostra stessa natura. Le lettere che celano al linguaggio la loro narrazione: sono fragranti per la materia di cui sono fatte, per il segno che le ha scritte. I bordi magnetizzati, che per un verso le tengono insieme e per l’altro invece attraggono in qualche modo gli aghi di bussola che sono le aste di ottone delle due sculture a soffitto, disegnano un profilo intrigante anch’esso per la sua materialità che è energia in azione, dunque che produce non un’immagine statica ma una altrettanto in moto come quella delle aste. Entrare, ascoltare, abitare e abituarsi per generare architetture del vivere poeticamente gli spazi della reciprocità.
- Installation view Medicamenta at Palazzo Bernetti Evangelista, Fermo
- Installation view Medicamenta at Palazzo Bernetti Evangelista, Fermo
- Compasso per aureola
- Declinazione rosa, 1999 – 2019, carta da lettere, luce giardino botanico di Brera, vernice magnetica, 20 cm x 26 cm x 3 cm
Marco Andrea Magni nasce nel 1975, vive e lavora a Milano. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Brera, consegue qui un master FSE in Tecniche di Organizzazione e Comunicazione delle Arti Visive. Frequenta il corso in Arti Visive presso la Fondazione Antonio Ratti a Como curato da Angela Vettese e Giacinto di Pietrantonio, con Richard Nonas. Allo IUAV di Venezia partecipa a seminari di filosofia con Giorgio Agamben, di storia dell’architettura con Roberto Masiero e d’arte visiva con Remo Salvadori. Lavora sulla condizione della possibilità e dell’occasione riabilitando l’esperienza corporea declinata in una scultura. La sua ricerca si articola lungo un percorso che scorre dalla filosofia morale alla riflessione artistica, dall’esperienza della scultura, fino a trovare il proprio epicentro in un’interrogazione con l’altro che diventa interlocutore e misura. Le opere sembrano dei modi di stare nel mondo, si predispongono a seguirne le forme, accogliendo di volta in volta le misure giuste per starvi dentro.

- LUCIA LEUCI

- IRENE FENARA